ANNO 14 n° 118
Proust in cucina Ponti e agnello al forno
>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<
23/02/2015 - 00:30

di Massimiliano Capo

VITERBO - ''Rincasando, a notte fonda, ho aperto la ghiacciaia e ho azzannato un pezzo di carne fredda, ingoiando un dente finto che comprendeva una parte posteriore in plastica e due ganci appuntiti…Alla fine le maggiori sofferenze le ha patite il dentista di Waterton, a quanto pare. Dopo avermi messo il bavaglino, mi chiese quale parte del ponte avessi ingoiato. Appena gli ho detto di averlo ingoiato per intero è sbiancato. Gli ho detto allegramente che pensavo di averlo evacuato. Mi spiegò, con voce arrochita, che non c’era modo di evacuarlo senza assistenza medica. ?non con quei ganci’ ha precisato. Cielo, avrei tanto voluto che s’azzittisse; ma sembra che avesse torto. Le mie scoregge di questi giorni ricordano il fischietto di un vigile, è vero, ma il dolore è lieve e trovare un taxi non è più un problema''.

E ancora: ''Non conosco piacere più grande o quasi di un’opera di narrativa che intrecci eventi disparati affinché entrino in relazione e suffraghino la sensazione che la vita è di per sè un processo creativo, che ogni cosa si sovrappone all’altra per un motivo preciso, che quanto va perduto in un’esperienza viene rimpiazzato in quella successiva, e che noi abbiamo il potere di dare un senso a ciò che accade''.

Lui è John Cheever e di John Cheever è uscita una meravigliosa raccolta di lettere piene di vita, letteratura, sesso, amicizia ed amore.Nel ‘’Tempo ritrovato’, Marcel Proust scrive che l’arte ci consente di scoprire e di farci vivere le resurrezioni della memoria, quei momenti di verità che mettono in connessione passato e futuro passando per il territorio sempre in divenire del presente.

Esemplarmente: ''la letteratura che, chiamandosi realista, è la più lontana dalla realtà, ci impoverisce e ci rattrista di più, perché tagli bruscamente ogni comunicazione del nostro io presente col passato, di cui le cose conservano l’essenza, e con l’avvenire, dov’esse ci incitano a gustarla di nuovo''.

Ora, alla capacità dell’arte di aprire nuovi spazi di conoscenza, alla sua forza di trasformazione profonda del nostro modo di vedere il mondo che ci circonda, sono state dedicate pagine dense e qualche secolo di riflessioni acutissime.Così come alla nostra capacità di immaginare.Trascelgo da un vecchio scritto di Giovanni Maria Bertin: “la sua funzione (dell’immaginazione)è la visione di realtà e possibilità che non possono mostrarsi nelle normali condizioni della percezione sensibile. La sua mira è di penetrare nel remoto, nell’assente, nell’oscuro…di legare il vecchio e il nuovo, l’attuale e il possibile: tutto ciò ai fini di una esperienza integrale in cui il significato del presente sorge dal legame che lo unisce al passato e al futuro”.

Quante volte ci affidiamo al già noto, al già conosciuto, al buon senso, per riaffermare semplicemente la nostra paura di cambiare? Quando cadiamo nella sensazione di doverci chiudere, lasciamoci soccorrere da John Dewey: ''La liberta di pensiero denota la libertà di pensare, cioè del dubbio specifico, dell’indagine, dell’attesa dubitativa e dello sviluppo dei tentativi e delle ipotesi, delle prove e degli esperimenti che non sono garantiti e che implicano i rischi della dispersione, della perdita e dell’errore. Ogni pensatore mette in pericolo una qualche parte del mondo apparentemente stabile''.

Mettere in pericolo ogni stabilità, ogni equilibrio faticosamente raggiunto, è la condizione per crescere, per creare, per tramutare se stessi come avrebbe detto Aldo Capitini. Tramutare è il verbo della trasformazione profonda, del rivolgimento della nostra coscienza di esseri liberi. Sta tutto dentro la rottura col mondo così come è. E non è la riproposizione di uno stanchissimo schema rivoluzionario. Si parla di un rivolgimento che riguarda prima di tutto noi. Il nostro noi più intimo. Il nostro essere potenzialmente grazia; la nostra gentilezza.

La nostra capacità, che dobbiamo costruire e migliorare ogni giorno, di accogliere nel nostro sguardo lo sguardo dell’altro. E di sorridere nel riconoscerlo come nostro fratello. La fatica, difficilissima, di costruire sempre più spazi di autonoma organizzazione dell’esistenza. Insomma, di recuperare il nostro ruolo più proprio: quello di esseri in grado di progettare il nostro essere nel mondo con lo sguardo conficcato nel futuro immaginando per noi e i nostri cari quella consapevolezza di vita che è il dono di ogni trascendenza, anche la più terrena.Mamma Silvana, dalla cucina, mi chiede se a cena vogliamo provare a cambiare e come vedete tutto torna.

Abbandoniamo vecchie certezze e proviamo una ricetta di Jamie Oliver: teglia di agnello al forno con acciughe e peperoni. Eccola (è buonissima) 

Ingredienti 

6 acciughe tagliate grossolanamente

4 spicchi d'aglio tritata

buccia grattugiata e il succo di un limone

qualche rametto di rosmarino con foglie tagliate

3 cucchiai di olio d’oliva

2 stinchi d’agnello

2 patate a cottura media pelate e tagliate a spicchi

1 peperone giallo e 1 peperone rosso senza semi e tagliati a tocchetti

Mescolate le acciughe con l'aglio, il limone, il rosmarino e 1 cucchiaio di olio, usate la metà del composto per marinare l'agnello e lasciate riposare la carne. Preriscaldate il forno a 190°C. Disponete le patate e i peperoni in una teglia da forno. Cospargete con Il resto dell'olio e un po' del condimento preparato, salate, pepate e lasciate cuocere per 30 minuti, fino a che le verdure non diventeranno tenere e inizieranno a prendere colore. Nel frattempo, rosolate l'agnello in una padella calda per un paio di minuti, facendolo arrostire bene su ogni lato. Disponete l'agnello sulle verdure e aggiungete il condimento rimasto. Rimettete in forno per 5 minuti, fino a che l'agnello sarà cotto mentre l'interno risulterà ancora succoso e roseo. Lasciate riposare per pochi minuti prima di servire.





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